Tutela reintegratoria o indennitaria del licenziamento per giusta causa

Ipotesi non tipizzate dalla contrattazione collettiva.

Un commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 19585 del 09.07.21.

Il caso sottoposto alla Corte di Cassazione era quello di una lavoratrice addetta al bar di un centro commerciale accusata dal datore di lavoro di non aver emesso oltre una ventina di scontrini ad altrettanti clienti.
Era però emerso, nel corso della istruttoria per testi, che tale condotta non era attribuibile alla lavoratrice licenziata, ma ad una precisa richiesta dei responsabili del punto vendita che avevano chiesto alla ricorrente (ed alle colleghe) di non registrare le vendite al fine di dissimulare l’acquisto da parte dei clienti di prodotti in promozione, la cui vendita dava diritto, ai citati direttori, a percepire dei premi. La lavoratrice licenziata, come le altre colleghe coinvolte, non aveva, di conseguenza, intascato nulla per se stessa, ma solo assecondato la richiesta dei superiori gerarchici.

La lavoratrice, sulla base di quanto sopra, riteneva applicabile per sé la sanzione conservativa prevista dal CCNL Turismo, per avere negligentemente svolto la mansione assegnata e non le ipotesi per le quali, il CCNL applicato, prevedeva la sanzione del licenziamento.
Premette la Corte che, nel caso di specie, “il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie sono propri del giudice di merito. Nel caso di specie, i giudici di merito di primo e di secondo grado sono pervenuti al medesimo giudizio di non proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto al fatto contestato, divergendo invece quanto alla tutela applicata”.

In effetti il Tribunale aveva, in applicazione del IV comma dell’art. 18 dello Statuto, ritenendo che la condotta della lavoratrice fosse riconducibile ad una condotta punibile con una sanzione conservativa, disposto, ex IV comma (1), la reintegrazione della stessa.
La Corte d’Appello, al contrario, aveva applicato il V comma dell’art. 18 (2), ritenendo che il licenziamento fosse sproporzionato rispetto alla condotta tenuta dalla lavoratrice (e non riconducibile ad una ipotesi cui era applicata una sanzione conservativa), dichiarando, quindi, risolto il rapporto di lavoro e condannato la società al risarcimento del danno quantificato in 18 mensilità.
La lavoratrice chiedeva alla Suprema Corte, quindi, di applicare al caso di specie il IV comma dell’art. 18 dello Statuto disponendone la reintegrazione.

Essa lamentava che la Corte d’Appello non avesse considerato il testo del contratto collettivo che, nel disciplinare le varie sanzioni prevedeva, nella clausola finale di chiusura, l’applicazione della sanzione conservativa al lavoratore che avesse trasgredito all’osservanza del CCNL o avesse commesso atti che avrebbero potuto arrecare pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dell’azienda.
La Corte di Cassazione ha precisato che “se è vero che l’accesso alla tutela reale di cui all’art. 18, comma 4, st.lav. è divenuta eccezionale a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 92 del 2012, tuttavia non può neppure escludersi la praticabilità di un’interpretazione estensiva delle clausole contrattuali ove esse appaiano inadeguate per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all’intenzione.

L’art. 1365 cod. civ. consente l’interpretazione estensiva di clausole contrattuali se inadeguate per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all’intenzione, sicché l’esclusione da tali clausole di casi non espressamente previsti va attuata dall’interprete tenendo presenti le conseguenze normali volute dalle parti con l’elencazione esemplificativa dei casi menzionati onde verificare, alla stregua del criterio di ragionevolezza imposto dalla norma, se sia possibile ricomprendere nella previsione contrattuale ipotesi non contemplate nell’esemplificazione (Cass. n. 9560 del 2017, richiamata pure da Cass. sez. lav. N. 31839/18).

In tale ipotesi, l’interprete deve tener presenti le conseguenze normali volute dalle parti stesse con l’elencazione esemplificativa dei casi menzionati e verificare se sia possibile ricomprendere nella previsione contrattuale ipotesi non contemplate nell’esemplificazione, attenendosi, nel compimento di tale operazione ermeneutica, al criterio di ragionevolezza imposto dalla medesima norma (cfr. Cass. n. 31839 del 2019, in motivazione)”.
La Corte, quindi, ritiene applicabile al lavoratore licenziato, la sanzione conservativa (con conseguente diritto, in caso di licenziamento, alla reintegrazione) ogni qual volta appaia ragionevole far rientrare il caso non espressamente menzionato all’interno di quelli specificatamente previsti tenendo presenti “le conseguenze normali volute dalle parti” attraverso l’elencazione esemplificativa.
Si tratta di una posizione assolutamente condivisibile che, tuttavia, farà sicuramente discutere.

Avv. Alessio Veggiari

1. Il testo del IV comma statuisce che “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”.

2. Il V comma prevede che “Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti”.