Smart Working

Alla luce dei recenti sviluppi dettati dalla situazione di emergenza legata alla pandemia “Covid-19”, molte aziende hanno provveduto ad attivare lo strumento dello “smart working” e, conseguentemente, sono pervenute numerose richieste di chiarimenti sul tema, sia da parte datoriale che da parte di lavoratori subordinati.

Lo “smart working”, detto anche “lavoro agile”, trova la sua disciplina ordinaria nella Legge n. 81/2017, che prevede la possibilità di remotizzare le risorse, andando ad individuare i criteri di misurazione degli obiettivi che possono essere rispettati dal lavoratore, senza  precisi vincoli di orario (sia pure nel rispetto dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva) e di luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici. 

Nella condizione ordinaria, l’attivazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in lavoro agile richiede la stipulazione di un accordo tra le parti, ove si andrà a stabilire la misurazione degli obiettivi, quindi dei criteri e dei parametri di esecuzione della prestazione, che possono essere giornalieri, settimanali o mensili, nonché l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali, nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della L. 20 maggio n. 300 e successive modifiche. Nell’ambito dell’accordo dovranno, poi, essere individuate le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari; dovrà essere disciplinato il diritto alla disconnessione del lavoratore (non potendo il datore di lavoro, anche a fronte del rispetto della normativa sulla sicurezza, pretendere che il lavoratore stia davanti ad uno schermo per otto ore consecutive); dovrà essere altresì affrontato il tema dei possibili strumenti di controllo, esplicitando anche al lavoratore le regole da seguire per evitare di cadere nei rischi delle campagne di phishing o di pharming che potrebbero danneggiare l’azienda. Al fine di evitare contenziosi, sarà utile, inoltre, disciplinare l’aspetto del rimborso delle spese sostenute per l’espletamento dell’attività lavorativa, nonché affrontare il tema legato all’orario di lavoro in rapporto agli obiettivi da raggiungere (e quindi del lavoro straordinario), oltre che approfondire le tematiche legate alla sicurezza e al rispetto della privacy. Tutti aspetti, questi, che dovranno evidentemente essere disciplinati al più presto, nell’interesse stesso del datore di lavoro, tanto più per l’ipotesi in cui, passata l’emergenza, si volesse mantenere il lavoratore in smart working.

Nella situazione attuale, il Governo, al fine di favorire, laddove possibile, la continuità della attività produttiva, ha previsto un iter normativo eccezionale di ricorso a tale modalità di lavoro. 

In effetti, già dai primi DPCM del 23/02/2020 e del 01/03/ 2020, poi richiamati nei DPCM successivi, sino ad arrivare all’ultimo DPCM del 26/04/2020, si prevede che la modalità di lavoro agile possa essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione di riferimento, anche in assenza degli accordi previsti dalla normativa ordinaria.

Peraltro, anche perdurando lo stato di emergenza, ci sono comunque degli adempimenti da formalizzare per il rispetto di normative quali lo Statuto dei Lavoratori, ed in specie dell’art. 4 della Legge 300/1970, come modificato dal Jobs Act; tenendo altresì presenti le previsioni del Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati personali.

In particolare, se lo smart working, nella situazione attuale, può senz’altro ritenersi costituito a fronte della mera manifestazione di volontà del datore di lavoro di avvalersi del lavoro agile (che, per la gran parte delle aziende, in tale situazione di emergenza, è avvenuta per lo più obbligatoriamente, e mediante comunicazione telefonica), sarà opportuno rendere successivamente una convalida formale di tale volontà, anche utilizzando i mezzi telematici (ad esempio, conferma tramite e-mail o sms) o anche attraverso la piattaforma aziendale (in tale ultimo caso, meglio se collegata a una casella di posta elettronica del dipendente). 

Tale esigenza di trasparenza appare opportuna anche per evitare future controversie, oltre che possibili spiacevoli condotte illegittime delle parti interessate, essendo già emerse, ad esempio, alcune disquisizioni in ordine alla mancata elaborazione del piano ferie con riferimento ai lavoratori posti in smart working (in tale specifica ipotesi, quindi, se il datore di lavoro volesse fare usufruire un periodo di ferie al dipendente durante il lavoro in modalità agile, sarà opportuno che glielo comunichi per iscritto).

A tale comunicazione dovrà seguire, poi, anche l’informativa di cui all’art. 22 della Legge 22/05/2017 n. 81 sulla sicurezza dei lavoratori da remoto, per la quale sarà opportuno attivare gli RSPP.

Entrando, poi, nel campo della privacy, il Regolamento Europeo obbliga le aziende ad aver adottato alcune procedure e misure organizzative, tra le quali, ad esempio, quelle di “data breach” (tema che si ricollega alla questione del phishing), la quale, anche nella attuale situazione di emergenza, potrebbe necessitare di revisione nel caso di mutamenti rispetto alla rintracciabilità delle figure aziendali alle quali rivolgersi nel caso in cui ci sia la possibilità che dei dati di natura personale e aziendale, dei quali è titolare l’azienda, non siano più nella disponibilità della stessa o siano stati messi a conoscenza di soggetti non autorizzati. 

Sempre sotto il profilo della privacy, potrebbe essere inoltre necessario integrare l’informativa al dipendente posto in smart working e il Registro dei trattamenti, indicando se viene posto in essere un trattamento ultroneo rispetto a quello ordinario. 

Molti dipendenti, infatti, stanno assumendo informazioni circa la correttezza dell’operato del datore di lavoro sotto tale profilo in regime di smart working. Pertanto, nel caso in cui venga fatta una raccolta di dati in smart working (ad esempio la tracciabilità delle presenze da remoto con applicativi diversi da quelli usualmente utilizzati) andrà attivato il Data Protection Officer o, in mancanza, chi si occupa del sistema privacy a livello aziendale, al fine di provvedere a tutti gli adempimenti necessari per il rispetto della privacy dei dipendenti.