Lo sfruttamento degli autotrasportatori

Chi sono e come lavorano gli schiavi al volante?

È di qualche giorno fa la notizia, uscita su tutti i quotidiani, che a Lodi cinque imprenditori – tutti appartenenti alla stessa famiglia -, titolari di diverse aziende facenti parte di un gruppo societario attivo nell’autotrasporto di merci, sono stati sottoposti a misure cautelari nell’ambito di un’indagine della Guardia di Finanza per il reato di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dei lavoratori, estorsione, evasione fiscale e riciclaggio. In particolare, gli autisti sarebbero stati costretti a turni di lavoro dalle 12 alle 15 ore consecutive e sottoposti a condizioni di alloggio degradanti.

La notizia, purtroppo, non rappresenta una novità per chi conosce la realtà del settore autotrasporto in Italia.

Infatti, i turni di lavoro massacranti e i viaggi imposti dai datori di lavoro rendono inevitabile, per il singolo autista:

Superare i limiti di velocità per riuscire ad arrivare a destinazione entro l’orario previsto,
Evitare le pause obbligatorie secondo la legislazione italiana ed europea per non perdere tempo, limitandosi a fermarsi per il tempo strettamente necessario ai meri bisogni fisiologici,
Alterare gli strumenti di misurazione posti a bordo del mezzo (c.d. dispositivi cronotachigrafici) per evitare contestazioni di infrazione nel caso di accertamento da parte della Polizia Stradale, il tutto, ovviamente, secondo le indicazioni dal datore di lavoro, che, più o meno velatamente, minaccia il dipendente di licenziamento o, se assunto a tempo determinato, di mancata proroga o rinnovo del contratto, qualora sia troppo lento o non rispetti i ritmi dettati dall’azienda o, più semplicemente, si lamenti di essere stanco. Troppo stanco per guidare.

Non si deve dimenticare, infatti, che, oltre a dover guidare il camion per lunghi periodi (a volte anche per più giorni di fila), gli autisti sono spesso comandati, una volta giunti a destinazione, di scaricare il cassone manualmente o con mezzi meccanici. E lo stesso vale a dirsi quando, terminato il viaggio, rientrano nei locali aziendali.

La stanchezza fisica, le lunghe ore alla guida e la mancanza di sonno ristoratore o, più in generale, del tempo necessario a recuperare le energie, si rivelano spesso fattori di altissima pericolosità, per sé e, soprattutto, per gli altri utenti della strada.
A ciò si aggiunga (come se non bastasse!) che non sempre i mezzi di trasporto sono regolarmente manutentati o sottoposti a controllo e che spesso viaggiano a pieno carico o anche oltre i limiti di peso consentiti, per velocizzare le consegne e… guadagnare di più!

Ogni tanto, quando “scappa il morto”, il caso finisce sul giornale e viene per un attimo accesa la luce sulle condizioni di lavoro nel settore dell’autotrasporto, ma poi ci si dimentica in fretta che tutti i giorni, zitti zitti, milioni di autisti girano per le nostre strade, trasportando su gomma l’80% delle merci in Italia, ma anche consegnandoci pacchi e corrispondenza a casa e in ufficio, mettendo a repentaglio le loro (e le nostre) vite con orari di lavoro a dir poco massacranti.

Nel settore, peraltro, regnano le catene di appalti e prospera la criminalità organizzata (con riciclaggio di denaro e trasporto di stupefacenti ed armi) che offre tariffe di trasporto più basse, totalmente fuori mercato, con una sorta di “asta al ribasso” della retribuzione finale netta dell’autista, il quale non ha nessuna stabilità del rapporto, essendo formalmente assunto da società cooperative costituite ad hoc e senza alcuna capacità patrimoniale, che si succedono nella titolarità del contratto, sostituendosi ogni due anni a quella precedente. Alcuni sono, addirittura, costretti dai rispettivi datori di lavoro a pagare l’affitto della cuccetta del camion ove dormono la notte.

La finalità di profitto e l’ingordigia di certi imprenditori sembrano non conoscere limiti e non si fermano nemmeno di fronte ai pericoli che il lavoro svolto in queste condizioni genera.

Chi ci rimette la pelle è, come sempre, il lavoratore, che, oltre ad avere una retribuzione quasi mai davvero coerente con le ore effettivamente lavorate e con il contratto collettivo (solo ad esempio, rimangono impagate: le trasferte in Italia e all’estero, il lavoro festivo, notturno e straordinario svolto, la tredicesima e la quattordicesima mensilità, le ferie e i permessi non goduti), vive in condizioni di schiavitù e rischia pure in prima persona (anche penalmente!) di provocare delle stragi (e di esserne vittima) ogni volta che si mette alla guida.

Si rende necessaria, oggi più che mai, anche in ragione della crescita dell’e-commerce che ormai interessa il 40% degli italiani, una riforma radicale del settore dalle sue fondamenta, ovvero a partire dalle società committenti dei servizi di trasporto su strada, che devono rispondere in prima persona per l’attività degli autisti e pagarne un prezzo che sia rispettoso non solo della loro attività professionale, ma anche della loro vita e dei suoi tempi.

Avv. Silvia Rizzo