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Il documento che identifica i nostri valori-guida e definisce il profilo etico-sociale che orienta l’operato di ogni partecipante al funzionamento dello stesso.
Sempre più spesso, nello sviluppo dei rapporti di lavoro, si innescano richieste di risarcimento dei danni da parte dei datori di lavoro nei confronti dei propri collaboratori. Questo dimostra, probabilmente, uno scadimento nel livello di diligenza che il lavoratore pone nello svolgimento delle mansioni assegnate. Accade però, con altrettanta frequenza, che la contestazione sia strumentale allo scopo (preordinato) di evitare di pagare al dipendente gli stipendi e le competenze di fine rapporto maturate. Molto spesso, infatti, nello svolgimento della prestazione professionale, mi sono trovato di fronte a situazioni nelle quali, illegittimamente invocando la violazione del dovere di diligenza (ex art. 2104 c.c.), il datore di lavoro evitava di pagare quanto dovuto al dipendente. In molti di questi casi, infatti, il datore di lavoro imputava al dipendente dei danni che non erano di certo conseguenti alla negligenza del proprio dipendente, pretendendo di vedersi “risarcite” le perdite di valore subite dallo strumento messo a disposizione del lavoratore, conseguenti, non alla sua negligenza, ma al normale deterioramento del bene (ricordo il mancato pagamento di stipendi a causa della usura della frizione, del cambio e, addirittura, degli pneumatici del camion messo a disposizione).
Fatta questa premessa, è altrettanto importante precisare che, al fine di ottenere il risarcimento del danno, il datore di lavoro non ha l’obbligo di avviare, nei confronti del proprio dipendente, un procedimento disciplinare, a meno che ciò non sia previsto dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro. A parere di chi scrive, inoltre, il datore di lavoro, prima di trattenere il danno sulla retribuzione del lavoratore, dovrebbe agire in giudizio e vedersi riconosciuto giudizialmente, nel contraddittorio con il proprio dipendente, il danno conseguente alla negligenza del lavoratore. Operare direttamente la trattenuta su quanto dovuto senza passare, prima, dall’accertamento della negligenza e dell’effettivo ammontare dei danni può essere molto pericoloso.
Ciò premesso, nel caso oggi in commento, si imputava all’autista di avere inserito, nella botte che conteneva il latte da egli già raccolto da altri allevatori, una partita di latte acido che era andato a rovinare tutto il latte raccolto dai diversi allevatori. Il datore di lavoro riceveva, dal proprio cliente, una lettera di contestazione con imputazione dei danni che venivano decurtati dalla fattura dei trasporti resi dalla società di trasporto in quel periodo. A sua volta il datore di lavoro scaricava l’ammontare del danno sul proprio dipendente, omettendo di pagargli le competenze di fine rapporto. Ciò nonostante fosse nota, sia alla committente dei trasporti che alla società di trasporto datrice di lavoro, l’identità dell’allevatore che aveva fornito la partita di latte avariato (e senza che, apparentemente, nessuno, né il cliente, né la società di trasporto, agisse nei confronti del citato allevatore per ottenere il risarcimento dei danni).
Il Giudice del Lavoro, investito della problematica in sede di opposizione, promossa dal datore di lavoro, al decreto ingiuntivo nel frattempo ottenuto dal dipendente per il pagamento delle competenze di fine rapporto, non indagava la circostanza se il fatto del terzo (l’allevatore che aveva consegnato il latte acido) fosse in grado di interrompere il rapporto di causalità tra la supposta negligenza del dipendente ed il danno.
Ciò probabilmente in quanto, ancor prima, il Giudice ha risolto la questione andando ad escludere ogni possibile responsabilità del lavoratore in quanto “non vi sono elementi per ritenere che rientrasse nelle mansioni del ricorrente, assunto come operaio autista, il controllo dell’assenza di vizi della cosa trasportata”.
E qui si entra nell’ambito della discussione inerente l’esatto perimetro della prestazione che il lavoratore si obbliga a svolgere in favore del datore con la costituzione del rapporto di lavoro. Perché ad un autista di mezzi pesanti si può chiedere, ad esempio, di possedere la patente di guida, di saper condurre il mezzo messo a disposizione dal punto A al punto B, di consegnare la merce nello stesso stato in cui essa si trovava quando gli è stata consegnata. Ma non gli si può chiedere che sia in grado di svolgere una analisi chimica della merce che gli viene, luogo per luogo, consegnata. Tale insegnamento può essere portato in molte altre situazioni nelle quali la negligenza del lavoratore viene attribuita attraverso una indebita dilatazione degli obblighi conseguenti la prestazione lavorativa contrattualmente pattuita.
Cerea 6 aprile 2021
Avv. Alessio Veggiari
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