Il licenziamento ingiustificato nelle piccole imprese

Nell’ambito della disciplina limitativa dei licenziamenti, il requisito dimensionale dell’impresa è sempre stato, storicamente, il criterio sulla base del quale individuare il campo di applicazione dell’art. 18 della L. 300/70 (applicabile alle grandi imprese) rispetto a quello dell’art. 8 della L. 604/1966 (applicabile alle piccole imprese), nonché uno degli elementi (unitamente all’anzianità di servizio e al comportamento e alle condizioni delle parti) sulla base dei quali il Giudice, in conseguenza della declaratoria di illegittimità del licenziamento, ha individuato il quantum risarcitorio (entro i limiti di legge), anche nell’area della c.d. tutela obbligatoria o debole.
Con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 23/2015 (che ha introdotto il c.d. rapporto di lavoro a tutele crescenti), il legislatore ha previsto, per i dipendenti licenziati ingiustamente dalle imprese minori, il riconoscimento di una indennità risarcitoria del tutto modesta, senza dare rilevanza alcuna a criteri diversi da quelli dell’anzianità di servizio.

L’art. 9 comma 1 del D.lgs. citato, prevede, infatti : “Ove il datore di lavoro non raggiunga i limiti dimensionali di cui all’art. 18, ottavo e nono comma della legge n. 300 del 1970, non si applica l’articolo 3, comma 2, e l’ammontare dell’indennità e dell’importo previsti dall’articolo 3, comma 1, dall’articolo 4, comma 1 e dall’articolo 6, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.

Come noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 194/2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 (per contrasto con gli artt. 3, 4 co. 1, 35 co. 1, nonché con riferimento all’art. 24 della Carta Sociale europea, 76 e 117 co.1 Cost) nella parte in cui prevede che l’indennità per il licenziamento ingiustificato debba essere commisurata a un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”. Secondo la Corte, infatti, il solo criterio dell’indennità di servizio non garantisce un risarcimento adeguato al danno effettivo subito dal dipendente in caso di licenziamento ingiustificato, rimettendo al giudice la quantificazione dell’indennità risarcitoria (nei limiti di legge oggi fissati tra le 6 e le 36 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr) tenendo conto non soltanto dell’anzianità, ma anche di altri criteri, quali quelli dettati dall’art. 8 L. 604/66 o dall’art. 18 co. 5 l. n. 300/1970.
Al di là degli ulteriori dubbi di incostituzionalità sollevati dalla dottrina pur a seguito dell’intervento della Corte costituzionale in relazione alla legittima determinazione da parte del legislatore di limiti minimi e massimi di tutela (sui quali non ci soffermiamo nel presente commento), va osservato che l’art. 9 del D.lgs. 23/2015 non è stato ad oggi oggetto di censure, non essendo ad oggi stato sollevato alcun quesito di illegittimità costituzionale. 
Peraltro, la giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Genova- Sez. Lav., ord. 21 novembre 2018), ha già avuto modo di statuire come la dedotta incostituzionalità dell’art. 3 del D.lgs. 23/2015, cui l’art. 9 comma 1 fa espresso rinvio, comporta che anche alle imprese minori debba applicarsi il nuovo sistema di parametrazione dell’indennità risultante dalla pronuncia di incostituzionalità; e ciò alla luce di una interpretazione della norma costituzionalmente orientata.

Tale lettura dell’art. 9 cit. costituzionalmente orientata, è evidente che non potrà che esplicare i propri effetti anche in relazione all’art. 4 D.lgs. 23/2015 (che disciplina l’ipotesi di vizi relativi alla motivazione o alla procedura del licenziamento individuale, parametrando l’indennità risarcitoria a un importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio fra il limite di due e il massimo di 12 mensilità) e all’art. 10 D.lgs. 23/2015 (il quale prevede, per i licenziamenti collettivi, che in caso di violazione delle procedure e dei criteri di scelta previsti dalla l. n. 223/1991, si applica il regime di cui all’art. 3 comma 1).
In tutti questi casi, pertanto, i criteri cui il giudice del lavoro dovrà fare riferimento per operare una quantificazione tra il limite minimo e quello massimo, non potranno più essere solamente ancorati all’anzianità di servizio, bensì anche agli altri criteri sopra rammentati di cui all’art. 18 comma 5 l. 300/1970 e dall’art. 8 l. n. 604/1966.

Peraltro, volendo soffermarci in questa sede sull’art. 9 del D.lgs., non si può fare a meno di notare come il limite dettato dal legislatore, tra l’altro fissato soltanto nel massimo (6 mensilità), possa apparire come un rimedio non adeguato contro i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, neppure alla luce dell’interpretazione orientata fino ad oggi fornita dalla giurisprudenza di merito, non essendo in grado di dissuadere i datori di lavoro ad effettuare licenziamenti illegittimi (al fronte del ridotto rischio economico). 
Non è da escludersi, pertanto, che una ulteriore questione di legittimità costituzionale possa essere sollevata anche con riferimento a tale norma, per la considerazione che la stessa, anche alla luce della interpretazione costituzionalmente orientata fornita dai primi orientamenti della giurisprudenza di merito, non è comunque in grado di soddisfare i principi fissati dall’art. 24 della Carta sociale europea.

Avv. Alessio Veggiari